A cura di Giorgio Giunchi Joy Marino Stefano Trumpy
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Presentazione 04 Giugno 2014 Roma Camera dei Deputati

3. Considerazioni per il futuro

Alcune riflessioni su Internet e democrazia

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Stefano Rodotà

  • Se, come ormai unanimemente si riconosce, Internet ha profondamente cambiato il volto della società, è penetrato in ogni sua articolazione, non è possibile affrontare il discorso sulla e-democracy riferendosi soltanto alle relazioni propriamente politiche.
  • Se siamo davvero di fronte all’avvento di una società della sorveglianza globale grazie all’uso delle tecnologie elettroniche, come viene con forza sostenuto da Zygmunt Bauman e David Lyon nel loro dialogo intitolato in Italia “Sesto potere”, bisogna partire da una analisi che affronti la radicalità del contrasto tra questa forma sociale e le libertà democratiche.
  • Se viene messa in discussione la net neutrality, ancora una volta è indispensabile interrogarsi sui rischi per la democrazia del trasferimento nella dimensione del Web delle logiche della diseguaglianza, ormai pervasive, che hanno messo in discussione uno dei principi fondativi dello Stato democratico.
  • L’insieme di questi fattori, e di altri che potrebbero aggiungersi, mostra con chiarezza il modo in cui la questione democratica si distende sull’intero spazio individuato, e unificato, dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
  • Uno spazio pubblico di ampiezza senza precedenti, sottratto alla logica dei confini e all’antica tirannia del tempo, e che ha reagito sulla percezione e l’organizzazione dello stesso spazio privato.
  • Muovendo da questa premessa, non si deve certo procedere in modo indistinto, senza analizzare ogni questione secondo le sue particolarità.
  • Ma le connessioni devono sempre essere tenute presenti, perché fanno emergere altri due essenziali aspetti del problema, legati alla distribuzione del potere, dunque al cuore della questione della democrazia.
  • Si parla abitualmente di “Big Data” e “Over the Top”, espressioni che descrivono il concentrarsi delle informazioni in grandi agglomerati e del potere in poche mani.
  • La domanda, a questo punto, riguarda inevitabilmente la possibilità di esercitare forme di controllo su queste nuove realtà e soggettività, come vuole la logica della democrazia.
  • Si può considerare, ad esempio, la vicenda di Wikileaks, che non può essere valutata con la schema tradizionale della fuga di notizie. Qui siamo di fronte ad un intreccio che fa emergere il diritto di sapere come essenziale strumento di controllo di un esercizio altrimenti opaco del potere.
  • Ma il punto forse più rilevante è rappresentato dalla nuova legittimazione di questo tipo di iniziative che, in concreto, si riferiscono a grandi raccolte di informazioni che, proprio per le loro caratteristiche e la loro sia pure selettiva accessibilità, vengono sempre più considerate come una realtà “di appartenenza sociale”, sì che il metterle a disposizione di tutti non è percepito come l’effetto di una violazione, bensì come un loro uso conforme alla natura sociale che hanno ormai sostanzialmente assunto.
  • Il secondo problema nasce proprio dal fatto che Internet ha prodotto una straordinaria democratizzazione della conoscenza, per quanto riguarda la quantità dell’informazione disponibile e la sua accessibilità, e per quanto riguarda il trasferimento a tutte le persone del potere di divenire esse stesse produttrici di questa conoscenza.
  • Proprio questo dato democratico deve essere salvaguardato, in particolare evitando che la conoscenza disponibile sul Web possa essere oggetto di “chiusure” determinate da una pura logica di mercato o da iniziative censorie.
  • E questo implica, da una parte, la necessità di considerare tale conoscenza come un bene comune, un bene pubblico globale, con effetti evidenti su categorie giuridiche tradizionali come il diritto d’autore e il brevetto. Dall’altra, si stabilisce un nesso strettissimo con la libertà di manifestazione del pensiero e con il diritto di costruire liberamente la propria personalità, che fa emergere diritti nuovi, come quello all’oblio e all’anonimato.

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  • Si può ben dire che lo sguardo democratico deve illuminare il Web nel suo insieme. Un dato di realtà, questo, che è divenuto via via più evidente con il passaggio al Web 2.0, non a caso identificato con le reti “sociali”, che rendono possibili sistemi di relazioni più libere e orizzontali sia nella sfera privata che in quella pubblica.
  • Conosciamo l’enfasi che ha accompagnato le vicende riassunte nella formula delle “primavere arabe”, a proposito delle quali è stato particolarmente sottolineato proprio il ruolo giocato dalle reti sociali, tanto che qualcuno è giunto a chiedere il riconoscimento dell’uso di Facebook come diritto fondamentale della persona.
  • Posizioni estreme a parte, è indubbio che si sono arricchite le possibilità di azione organizzata, non solo e non tanto dal punto di vista quantitativo, quanto piuttosto per la qualità dei soggetti che sono ormai in grado di articolare in modo nuovo le relazioni sociali e, insieme, di dar vita a forme variegate di azione politica individuale e collettiva, sia riproducendo il modello delle manifestazioni pubbliche di massa, riservato in passato solo a grandi soggetti (partiti, sindacati, Chiesa), sia innovando profondamente proprio la presenza delle persone sulla scena pubblica.
  • Continuando a usare sempre più intensamente la tecnologia, la vita esce dallo schermo e invade, in modo nuovo, l’intero mondo, ridefinisce la sfera pubblica e quella privata, e progressivamente disegna una redistribuzione dei poteri.
  • Ma questa è una vicenda cominciata prima che le reti sociali mutassero il panorama.
  • Si può dire che la novità divenne visibile per tutti il 30 novembre 1999, a Seattle, in occasione della grande manifestazione contro il WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio.
  • Quella manifestazione non sarebbe stata possibile senza la Rete, che mise in contatto gli attivisti e identificò le modalità dell’azione.
  • Ma assunse significato e forza quando uscì dalla piazza virtuale e si materializzò in quella reale, nelle strade di Seattle, dove i manifestanti bloccavano i delegati e impedivano loro di raggiungere il Convention Center, luogo della riunione.
  • E quel fatto divenne patrimonio comune quando le immagini vennero diffuse in tutti gli angoli del mondo da un mezzo “maturo”, che veniva dal passato, la televisione generalista.
  • Una vicenda per molti versi analoga può essere ritrovata proprio nelle primavere arabe, anche se alcuni suoi protagonisti, gli stessi bloggers, hanno messo in evidenza il rischio di una sopravvalutazione del ruolo della Rete, sottolineando come la rivolta fosse cominciata con manifestazioni di lavoratori, che certo non avevano la disponibilità di twitter, e che il movimento era continuato anche dopo che Mubarak aveva bloccato le comunicazioni.
  • La Rete, in sostanza, avrebbe avuto piuttosto il ruolo di diffondere il messaggio proveniente dalle manifestazioni popolari, mostrando quello che già stava avvenendo nel mondo reale.
  • Questo rovesciamento dei ruoli, tuttavia, non ridimensiona il ruolo delle reti sociali.
  • Ne mostra, piuttosto, le sfaccettature e, più che i limiti, le modalità con le quali si inseriscono nel contesto sociale complessivo. In sostanza, gli effetti politici delle iniziative in Rete sono ancora fortemente dipendenti dal modo in cui esse si concretizzano nel mondo reale.
  • Senza le centinaia di migliaia di persone presenti in pazza Tahrir, e decise a non abbandonarla fino al momento delle dimissioni di Mubarak, la caduta del regime non sarebbe avvenuta.
  • Al tempo stesso, però, la forza di quella piazza si dimostrava sempre più nettamente legata alla sua permanente rappresentazione planetaria, garantita dall’intero sistema dei media. Il mondo nuovo della Rete, l’uso massiccio di Internet, dunque, non possono essere rappresentate come una discontinuità radicale, come l’entrata in una dimensione nella quale non si ritrovano più tracce del passato.
  • Si può ben sostenere che stiamo vivendo una fase di transizione, dove il nuovo fatalmente deve convivere con il vecchio, di cui tuttavia trasforma il significato.
  • Basta pensare ad un fatto, comune ai più diversi paesi, che riguarda proprio quello che può essere chiamato il rapporto tra luoghi virtuali e luoghi reali. Accade sempre più spesso che l’attivismo in rete avvii pure una fase ulteriore, rappresentata proprio da riunioni “fisiche” tra le persone interessate.
  • E, in generale, si deve sottolineare come le piazze, luogo storico della comunicazione politica, svuotate dalla televisione, siano state di nuovo riempite grazie appunto al ruolo giocato dalle reti sociali. Questi dati di realtà mettono in evidenza “la relazione positiva tra partecipazione online e offline”.
  • Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nelle loro variegate modalità, non emergono in una situazione di discontinuità radicale con i media tradizionali, di cui prendono il posto.
  • Christian Vaccari ha sottolineato che esse “si evolveranno piuttosto come parte di una creativa multipiattaforma di siti che congiungeranno le possibilità della televisione e l’indipendenza investigativa del giornalismo con la velocità, la grafica, l’interattività e la capacità di informazione aperta delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.

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  • Queste riflessioni consentono di andare oltre alcuni criteri interpretativi della “qualità” della democrazia elettronica che vedono anche il ritorno di schemi che sembravano ormai abbandonati e che, invece, sono ricomparsi in particolare nel dibattito italiano.
  • Conosciamo una discussione fatta di contrapposizioni radicali tra prospettazioni ritenute tra loro incompatibili.
  • Democrazia diretta contro democrazia rappresentativa; socialismo elettronico contro fascismo digitale, fino all’identificazione della democrazia elettronica come la forma congeniale al populismo dei ventunesimo secolo, evocando rischi antichi e nuovi attraverso il ricorso a parole del passato, come “iperdemocrazia”, o più legate alle analisi dell’oggi, come “ultrademocrazia”.
  • Per non rimanere prigionieri di questi schemi, è indispensabile ricordare, ancora una volta, che siamo di fronte a processi caratterizzati dal combinarsi di una molteplicità di fattori e che non sono riducibili al solo momento della decisione, come accade quanto l’accento è posto quasi esclusivamente sulla generalizzazione della logica referendaria.
  • Se il punto di riferimento è rappresentato, come deve essere, dalla partecipazione, il potere d’intervento delle persone deve distendersi sull’intero processo, che parte dalla disponibilità delle informazioni necessarie per valutarle criticamente, la progettazione, la individuazione di modalità di intervento nei processi prima della decisione finale, l’intervento nella decisione.
  • Questa sequenza si traduce in un potere di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
  • Quelle appena citate sono le parole adoperate dall’articolo 49 della Costituzione a proposito dei partiti politici.
  • Sono trasferibili nella dimensione del Web, in particolare per quanto riguarda il riferimento al metodo democratico?
  • Per affrontare questo interrogativo, si deve tenere ben presente il fatto che proprio la Rete rende disponibili una molteplicità di vie attraverso le quali essere presenti nello spazio pubblico e intervenire nei processi politici, che possono corrispondere anche a forme organizzative variamente definibili come gerarchiche, se non intimamente autoritarie.
  • Basta questo connotato per escludere la rilevanza di qualsiasi indicazione che provenga da gruppi così strutturati?
  • Evidentemente no, visto che la discussione pubblica si nutre di ogni contributo individuale o collettivo, quali che siano le modalità della sua messa a punto.
  • Altra questione, invece, è quella della legittimazione, in primo luogo sociale, della partecipazione al dibattito pubblico, che non può essere tutta autoreferenziale, nel senso che il semplice fatto di provenire dalla Rete attribuirebbe un plusvalore che consente di prescindere dal metodo democratico.
  • Si tratta, evidentemente, di una questione assai impegnativa, e che può presentare ambiguità, ma che emerge con particolare nettezza quando si va oltre la registrazione dell’esistenza delle reti sociali e si riflette sul passaggio dalla presenza sociale alla presenza civica, che sta poi a fondamento della necessaria distinzione tra reti sociali e reti civiche.
  • Senza guardare a questa distinzione come ad una separazione tra due mondi, queste ultime, a differenza delle reti sociali alla cui origine v’è il fine dello sfruttamento economico delle relazioni tra persone, sono state esplicitamente progettate per i processi di partecipazione dei cittadini alla vita politica, secondo una logica paritaria, trasparente e controllabile, dunque intimamente democratica.
  • Parlare di democrazia elettronica, allora, esige una attenzione sempre più intensa per questo suo modo di organizzazione che, al tempo stesso, mostra la inadeguatezza di una impostazione che muova dalle contrapposizioni appena ricordate.
  • Come sempre accade quando si discute di democrazia, anche in questo caso, bisogna essere attenti alle sue precondizioni.
  • Che sono molte, e vanno dal digital divide alle modalità dell’accesso, da ciò che è liberamente accessibile all’uso che altri fanno delle informazioni raccolte. Qui s’incontrano molte questioni, quella degli open data e l’altra, essenziale, delle logiche che stanno a fondamento dell’agire in Rete.
  • Assistiamo, infatti, ad una conformazione dello spazio pubblico che tende a privilegiare il primato degli interessi legati alla sicurezza e al mercato, sì che quello spazio finisce con l’essere ridotto e la sua misura diventa quella di una trasformazione delle persone da soggetti attivi, dotati di autonomia, in puri oggetti di poteri esterni.
  • S’innesta qui la questione dei diritti individuali e collettivi, spesso riassunti intorno alla parola privacy che, in concreto, rinvia alle condizioni dell’agire libero da costrizioni e controlli.
  • Le molte certificazioni della “morte della privacy”, con l’argomento che ad essa non corrisponderebbe più alcuna rilevante motivazione sociale e politica, in sostanza si traduce nella pubblica dichiarazione secondo la quale, avendo la persona rinunciato alla tutela dei suoi dati, questo devono essere considerati come legittima proprietà degli organismi di sicurezza e dei grandi raccoglitori privati.
  • Forzatura evidente, come ha dimostrato la planetaria resurrezione della privacy dopo la rivelazione del modo d’agire della National Security Agency (ma davvero era necessaria questa “scoperta” per sapere come agiscono alcuni Stati?).
  • Proprio il ritorno di questa consapevolezza, tuttavia, rende necessario affrontare concretamente le regole sulla legittimità delle raccolte pubbliche, le modalità del controllo sociale su poteri come quello incarnato da Google (che non a caso comincia ad essere considerato nell’ottica di una nuova versione del servizio pubblico), l’attribuzione della possibilità di far sentire la propria voce agli abitanti della terza nazione del mondo, Facebook.
  • La democrazia è legata alla salvaguardia di un Open Web, che deve essere continuamente reinventata, opponendosi ad ogni forma di appropriazione o censura e riportando al centro della discussione lo strutturarsi del Web in forme decentrate. Inseparabile dai diritti, nei quali trova il suo più solido fondamento, la democrazia elettronica deve costruire la propria dimensione costituzionale.
  • Si possono qui ricordare norme e proposte riguardanti il riconoscimento dell’accesso a Internet come diritto fondamentale della persona.
  • Più in generale, è da lungo tempo che si lavora intorno ad un Internet Bill of Rights. Temi, entrambi, ai quali l’Internet Governance Forum Italia ha da sempre dedicato una intensa e talvolta anticipatrice attenzione.
  • La forza delle cose rende sempre meno solido il ricorso ad argomenti che vogliono mettere in evidenza il contrasto tra queste proposte e la natura di Internet, o comunque la loro inutilità. Qui non è certo possibile ripercorrere una discussione ben nota.
  • Ma forse vale la pena di segnalare la posizione di Tim Berners-Lee, che già si era schierato, in contrasto con l’opinione di Vint Cerf, a favore del riconoscimento del diritto di accesso a Internet, considerandolo come l’accesso all’acqua. Si fa ora paladino di una Magna Charta per Internet.
  • Una conferma significativa della via da seguire per mantenere e consolidare la democrazia elettronica.
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