A cura di Giorgio Giunchi Joy Marino Stefano Trumpy
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Presentazione 04 Giugno 2014 Roma Camera dei Deputati

1. Internet: lo strumento

Dal whistleblowing al diritto all’oblio

bio

Guido Scorza

  • “Fare la spia è peccato”, ci dicevano una volta a scuola.
  • Mentre, “non fare la spia” era un monito frequente tanto in famiglia che tra amici.
  • Siamo cresciuti nella convinzione – giusta o sbagliata che sia – che rendere pubbliche informazioni apprese in una dimensione riservata fosse almeno eticamente scorretto.
  • La storia di Wikileaks prima e quella di Snowden dopo ci hanno, poi, d’un tratto, persuaso che, talvolta, fare la spia può essere magari giuridicamente vietato ma è eticamente quasi eroico.
  • È il web che ha cambiato le carte in tavola, fornendo a chiunque di noi un kit di straordinaria facilità d’uso, per rendere di dominio pubblico qualsiasi genere di contenuto di dominio riservato.
  • Ma fare la spia, ai tempi di Internet, è giusto o sbagliato? È eticamente auspicabile o, invece, deprecabile? E, in ogni caso, è legale? Ma prima e soprattutto è davvero possibile, nell’era del Web, impedire a qualcuno di fare la spia?
  • Ha senso che i Governi del mondo intero si cimentino nella battaglia contro il c.d. whistle-blowing o conviene, piuttosto, promuovere un processo di trasformazione sociologica ed antropologica che ci abitui a vivere in un mondo nel quale il segreto sia davvero l’eccezione e la trasparenza assoluta la regola?
  • Sono queste alcune delle domande che non ci si può non porre se ci si vuole avventurare lungo il sentiero impervio che ci separa dal futuro che ci aspetta dietro ad un angolo, lontano, ormai, pochi giorni ed una manciata di click.
  • Si tratta di domande cui non solo è straordinariamente difficile dare una risposta ma che danno origine ad altre domande davanti alle quali si rischia di scoprirsi altrettanto impreparati.
  • Ciascuno di noi ha diritto a pretendere che frammenti della propria vita, da altri legittimamente raccontati in passato perché di interesse pubblico, ad un certo punto, smettano di “galleggiare” nel mare della Rete per consentirci di ricominciare da capo, liberandoci di “fardelli” che riteniamo scomodo, antipatico, talvolta, semplicemente, inopportuno portarci dietro nel presente e nel nostro futuro?
  • Abbiamo davvero diritto a pretendere che la comunità globale alla quale, ormai, ciascuno di noi appartiene, si dimentichi di chi siamo stati nel passato e ci guardi solo per quello che siamo nel presente e che saremo nel futuro?
  • Ma, soprattutto, una simile forma di amnesia collettiva è possibile nell’era di Internet? “Dimenticare è umano ma Internet non vuole dimenticare”, ammonisce, Victor Mayer Shomberger nel suo “Delete”, con il quale nel 2010 ha lanciato alla comunità scientifica una provocazione forte ed irresistibile.
  • Whistle-blowing e c.d. diritto all’oblio sono due facce – e non le sole – dello stesso straordinario caleidoscopio di idee e principi che ha completamente riscritto le dinamiche della circolazione delle informazioni nello spazio pubblico telematico, ponendo agli addetti ai lavori ed ai Governi questioni e problemi con pochi precedenti nella storia dell’uomo.
  • Non c’è dubbio, infatti, che non esiste piccola o grande comunità che sia arrivata sin qui con una naturale abilità a convivere senza segreti e, egualmente, non c’è dubbio, che la tendenza a dimenticare è una naturale abilità antropologica insita in tutte le dinamiche di relazione sociale registrate sin qui.
  • Cosa ci aspetta, in un futuro che, forse, dovremmo abituarci a considerare già “presente” se ci ritroveremo nell’impossibilità di avere segreti e nell’impossibilità di esigere che gli altri si ricordino troppo e troppo a lungo su di noi?
  • È una domanda alla quale, sin qui, non hanno risposto né sociologi, né politici, né giuristi. E sarebbe inutile provare a rigirare i termini della questione, limitandosi ad interrogarsi sulla legittimità o meno – sulla base delle leggi vigenti – dei fenomeni che stanno imponendo la repentina riscrittura delle dinamiche delle quali ci stiamo occupando.
  • Le regole – quelle dettate nelle leggi degli uomini – infatti sono “codici” infinitamente più piccoli davanti alla straordinaria rivoluzione del Codice, avviata con la diffusione della Rete delle reti. Qualsiasi cosa le leggi di un singolo stato stabilissero a proposito del whistle-blowing e del diritto all’oblio, non significherebbe sostanzialmente nulla dinanzi a fenomeni che si presentano, ormai, disancorati dall’elemento del “territorio” e, con esso, dalla potestà legislativa di questo o quel Parlamento e Governo e dalla giurisdizione di questo o quel giudice nazionale.
  • Piuttosto che accontentarsi di sapere se, in astratto, sia lecito o illecito – in questo o quel Paese – “fare la spia” online o ricordare “troppo a lungo”, sembra più opportuno interrogarsi su ciò che appare eticamente auspicabile e, soprattutto, socialmente sostenibile.
  • A differenza della prima, infatti, questa seconda riflessione di più ampio respiro può essere di aiuto a governanti e decisori nel tracciare le linee per la Governance della Rete delle Reti.
  • Si tratta, naturalmente – come nel caso di ogni valutazione di carattere etico – di semplici opinioni, inevitabilmente soggettive assai di più di quanto non lo sarebbero quelle espresse sulla base dell’applicazione e interpretazione delle regole del diritto.
  • L’auspicio è, tuttavia, che come ogni opinione, valgano, almeno, a stimolare un dibattito che, per la verità, specie negli italici confini, è, sin qui, troppo spesso apparso asfittico e privo di adeguato respiro.
  • Vediamo, dopo questa necessaria premessa, al primo dei due problemi: il whistle-blowing.
  • Sul punto è indispensabile essere franchi e mettere da parte qualsivoglia forma di ipocrisia ideologica: nella società nella quale viviamo non c’è più spazio per “segreti” intesi nel senso in cui si intendevano un tempo.
  • Il più segreto dei segreti, oggi, è un’informazione nella disponibilità, almeno di fatto, di una cerchia ristretta – ma mai ristrettissima – di persone.
  • Mentre l’informazione nelle mani di pochi è, per quei pochi uno strumento di straordinario potere in grado di condizionare relazioni personali, politiche e di mercato la disponibilità della medesima informazione da parte di tutti, “spunta” la “spada” nella mano dei pochi e pone tutti i consociati nella stessa condizione.
  • Salvo casi davvero eccezionali, quindi, che la trasparenza sia la regola da perseguirsi, ove necessario, anche attraverso il whistle-blowing, appare eticamente auspicabile e socialmente sostenibile.
  • Ci toccherà – ma toccherà soprattutto a chi è sin qui stato abituato a fare del segreto uno strumento di governo anche della cosa pubblica – abituarci all’idea che si debba convivere nella e con la trasparenza quasi assoluta.
  • Analoga sembra la risposta alla seconda domanda che ci si è posti: si può davvero riconoscere a ciascuno il diritto a che la collettività si dimentichi del suo passato o, meglio, che Internet non l’aiuti a ricordarlo? Non credo si tratti di una scenario auspicabile né sostenibile.
  • Se discutiamo – come si dovrebbe discutere quando si parla di diritto all’oblio in senso tecnico – di informazioni legittimamente pubblicate online perché di interesse pubblico, nessuno – ivi incluso il soggetto cui tali informazioni si riferiscono – può pretendere di vedersele “restituire” dalla Rete a tutela di un malinteso diritto alla propria privacy.
  • A tale preteso diritto, infatti, si oppone – e dovrebbe avere sempre la meglio – quello, di cui siamo tutti titolari in eguale misura, alla storia da intendersi come diritto all’informazione sui fatti del passato. Chissà cosa penserebbero di noi i posteri se sfogliando l’Internet Archive tra vent’anni, osservassero che di nessuno degli uomini della nostra epoca si scrive o parla male nello spazio pubblico telematico.
  • Sarebbero legittimati a persuadersi che quella che stiamo vivendo è stata una stagione virtuosa nell’epopea dell’uomo.
  • Naturalmente si tratterebbe – come ben sappiamo vivendo i nostri giorni – di una percezione straordinariamente fallace, indotta dall’inaccettabile processo di manipolazione storica che consentiremmo se riconoscessimo al singolo il diritto di riprendersi le tessere della sua identità legittimamente pubblicate online da chicchessia.
  • La storia non si tocca e nessuno ha il diritto, riscrivendo la propria, di riscrivere quella dell’epoca nella quale ha vissuto.
  • È sempre bello, quando si parla di diritto all’oblio e lo si contrappone con il diritto alla storia, ricordarci dello straordinario prologo de Le Storie di Erodoto: «Questa è l’esposizione delle ricerche di Erodoto di Alicarnasso, perché gli eventi umani non svaniscano con il tempo e le imprese grandi e meravigliose, compiute sia dai Greci che dai barbari, non restino senza fama; in particolare, per quale causa essi si fecero la guerra.» (Erodoto, Storie, I, 1.).
  • Non solo dunque le imprese grandi e meravigliose, ma anche gli eventi umani dei comuni mortali, secondo Erodoto meritano di non svanire con il tempo.
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