- L’idea
di «democrazia digitale», per quanto vaga, ha generato nei
decenni in cui se ne è discusso – specie gli ultimi due – una grande
quantità di miti.
- Secondo
la vulgata mediatica dominante, la «rivoluzione digitale »
avrebbe dovuto accompagnarsi a una maggiore partecipazione dei cittadini
alla vita pubblica e a maggiori tassi di democratizzazione sia nelle democrazia
avanzate in affanno, sia nei regimi autoritari.
- Un processo
che Lawrence K. Grossman, nel suo seminale “La repubblica elettronica”
[1] definiva «inesorabile».
- Non solo.
Internet avrebbe dovuto spostare l’asse delle forme democratiche mondiali
dalla rappresentanza alla democrazia diretta, o quantomeno a processi decisionali
meno mediati, in cui i cittadini da soli sarebbero stati in grado di elaborare
proposte di legge da sottoporre al vaglio del Parlamento, emendare norme
esistenti, ma anche discutere temi di interesse collettivo ed esprimersi
tramite referendum o consultazioni più o meno vincolanti.
- E qualcosa,
in effetti, si è visto.
- Anche
in Italia, come testimoniato dalla recente consultazione sulle riforme
del ministro Gaetano Quagliariello, ma anche da piattaforme informatiche
basate sull’idea della delega «liquida», ossia trasferibile
tema per tema tra i partecipanti, adottate dagli attivisti locali del MoVimento
5 Stelle e da candidati e deputati come Umberto Ambrosoli e Laura Puppato.
- Non è
certo stata detta l’ultima parola, e qualche risultato è stato ottenuto.
Tuttavia dopo tanto parlare e sperimentare a livello globale, i fatti avrebbero
dovuto già indirizzare gli osservatori più analitici verso
questa visione ottimistica dell’e-democracy.
- Come scrive
Matthew Hindman nel volume “The Myth of Digital Democracy” [2], insomma,
«se il web sta davvero aumentando le possibilità di espressione
politica del cittadino medio, dovrebbero essercene svariate prove».
I dati, tuttavia, raccontano una realtà diversa.
- A vent’anni
dall’irruzione dell’Internet commerciale nelle nostre vite, e ad almeno
dieci dai primi esperimenti concreti di traduzione della teoria in prassi,
il bilancio dei tentativi di coinvolgimento della cittadinanza nella gestione
della cosa pubblica attraverso la rete è ben più magro.
- Prima
di tutto l'e-democracy non ha giovato alla partecipazione al voto.
- Come scrive
la ricercatrice dell'Università di Oxford, Amanda Clarke, nell'analisi
che ha introdotto i lavori del World Forum for Democracy 2013 [3], dal
1980 a oggi l'affluenza alle urne è in calo in media del 10% in
40 dei 49 paesi studiati.
- Ancora,
il digitale non pare avere rivitalizzato il rapporto tra eletti, istituzioni
ed elettori.
- Anzi,
la fiducia nei partiti è crollata dal 49 al 27% tra il 1990 e il
2006, per toccare il minimo storico nel nostro Paese a maggio 2013, dice
l'Istat, con un punteggio di 2,3 su 10.
- Al punto
che, aggiunge il rapporto Demos "Gli italiani e lo Stato" [4],
il 48,5% degli interpellati ritiene che la democrazia si possa fare senza
partiti - in barba a quanto dice la storia, e cioè che senza i partiti
non si fanno le democrazie ma i regimi.
- Poco male
quando un italiano su tre, per la stessa ricerca, dice che tra democrazia
e autoritarismo o non c'è differenza, o c'è ma in favore
dell'autoritarismo.
- O meglio:
molto male.
- Sempre
negli ultimi vent'anni a livello globale, ricorda Clarke, è calato
dal 62 al 51% il numero di persone che sostiene di aver preso parte a una
manifestazione politica, e dal 76 al 56% quello di chi dice di aver firmato
una petizione. E del resto, anche per l'efficacia di quelle online, pur
molto partecipate, "dal punto di vista empirico non abbiamo visto
ancora quasi nulla", scrivono i ricercatori Knud Boehle e Ulrich Riehm
a luglio 2013.
- Quello
che si è visto non lascia ben sperare dato che, proseguono gli autori
in un saggio pubblicato su First Monday [5], finora l'e-petitioning "non
ha contribuito a superare il divario nella partecipazione politica (compreso
quello digitale) basato sulle caratteristiche socio-demografiche".
- A essere
in discussione, tuttavia, è lo stesso rapporto - che i deterministi
tecnologici vorrebbero necessario - tra diffusione di Internet e diffusione
della democrazia.
- Nel bilancio
stilato nel 2013 dall'Economist Intelligence Unit, intitolato eloquentemente
"La democrazia a un punto morto" [6], si legge che "i precedenti
guadagni nella democratizzazione sono stati scalfiti negli ultimi anni",
con punteggi nel "democracy index" in discesa per 10 dei 28 paesi
dell'Est europeo considerati, e una "significativa erosione"
nell'Europa Occidentale.
- Il dato
paradossale è che nell'ultimo decennio il tasso di partecipazione
tramite il digitale è aumentato in alcuni casi più nei regimi
autoritari che nelle democrazie considerate dall'indice per l'E-government
dell'Onu, come scrive il ricercatore svedese Martin Karlsson [7].
- E mentre
il numero di regimi più partecipati delle democrazie è salito
dal 3% del 2003 al 15% del 2012, non si è registrato un parallelo
incremento dei tassi di democratizzazione in quei paesi - ipotesi per cui
non restano che "poche speranze", mentre per i dittatori restano
i concretissimi benefici in termini di immagine internazionale derivanti
dall'adottare iniziative di e-gov ed e-participation di mera facciata.
- Del resto,
ricorda Karlsson, "pur essendo essenziale per la democrazia, la partecipazione
politica non è essa stessa essenzialmente un fenomeno democratico".
- Con questo
non si vuole certo dire che Internet sia la causa di tutti questi segnali
d'allarme. Il punto, semmai, è che la rete non sembra sia stata
parte della soluzione. Il problema è lo stesso da qualunque prospettiva
lo si guardi: si è fatta troppa speculazione e si è guardato
troppo poco ai risultati concreti. Su questo la letteratura recente è
unanime.
- E così
l'eccesso di proclami ha finito per confondere buone prassi, che pure non
sono mancate, e iniziative propagandistiche, suscitando aspettative troppo
elevate che poi non hanno retto alla prova dei fatti.
- I media
non sono innocenti al riguardo. Emblematico il caso della costituzione
islandese in crowdsourcing, cioè discussa in rete tramite dinamiche
cooperative dal basso, di cui molto si è letto nei termini di un
successo e un esempio da imitare, e poco o nulla rispetto ai problemi -
meno notiziabili perché derivanti dalla politica tradizionale, ma
non per questo meno importanti - che ne hanno causato l'accantonamento
e il rinvio a data da destinarsi.
- Anche
quando leggi meno ambiziose siano effettivamente composte "dal basso",
poi - il modello è la Finlandia, che ha portato al voto il 3% della
popolazione in un solo giorno su una norma proposta online - solo in una
esigua percentuale dei casi riescono a giungere alla discussione in Aula,
e in una ancora più esigua si traducono in norme vere e proprie.
- E anche
qualora ciò accada, non sono rari i casi in cui - come in Cile per
la piattaforma 'Senador Virtual' - l'e-democracy è poco più
di un manto con cui rivestire di legittimità scelte che sarebbero
state prese comunque dal legislatore.
- Perché
se è vero da un lato che gli studi empirici sui benefici concreti
arrecati dagli strumenti di democrazia digitale al policy-making sono ancora
parte minoritaria del materiale accademico prodotto sull'argomento, è
altrettanto vero che le valutazioni prodotte dagli studiosi che invece
vi si siano cimentati sono concordi: i risultati sono modesti, e anche
i casi di successo sono difficilmente generalizzabili, perché più
della tecnologia conta la società su cui si innesta.
- E le società
umane sono quanto di più diverso e dipendente dal contesto si possa
avere. Ancora, conta la reale volontà della classe politica di implementare
e mantenere strumenti permanenti di ascolto del cittadino che non durino
una campagna elettorale o non siano comunque mera propaganda.
- Purtroppo,
l'eccezione piuttosto che la regola.
Note
bibliografiche
- Grossman,
L. K. (1995), La repubblica elettronica, Editori Riuniti
- Hindman,
M. (2009), The Myth of Digital Democracy, Princeton University Press
- Clarke,
A. (2013), Exploiting the web as a tool of democracy: new ways forward
in the study and practice of digital democracy, World Forum for Democracy
2013 Issue Paper, scaricabile all'indirizzo http://www.coe.int/t/dg4/
cultureheritage/news/wfd/study_en.pdf
- http://www.demos.it/a00935.php
- Boehm,
K e, K. e Riehm, U. (2013), E-petition Systems and Political Participation:
about Institutional Challenged and Democratic Opportuni-ties, First Monday,
18-7 https://portoncv.gov.cv/dhub/porton.por_global.
open_file?p_doc_id=1034
- Karlsson,
M. (2013), Carrot and sticks: Internet governance in non-democratic regimes,
International Journal of Electronic Governance, 6-3, pp. 179-186
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