- Quando
negli anni ‘80 si cominciò a parlare di democrazia diffusa, telematica
e dal basso, quelli dell’utopia californiana, di Wired e della community
The Well di Howard Rheingold, associavano alla e-democracy, la democrazia
elettronica, il potere liberatorio di emanciparsi da una casta di professionisti
della politica e di autorappresentare senza mediazioni le istanze derivanti
dal popolo.
- Era l’apice
delle user conferences su Internet e delle reti civiche comunitarie negli
agglomerati urbani statunitensi, e la possibilità per tutti di discutere
su tutto sembrava prefigurare la nascita di una nuova sfera pubblica, con
regole e strumenti propri.
- L’utopia
che le tecnologie allora emergenti potessero aprire nuovi spazi di democrazia
era la stessa che aveva accompagnato la diffusione del cinema, della radio
e della televisione (e sappiamo come è finita: fusioni, concentrazioni,
monopoli).
- Anche
la Politica rimase affascinata da questa prospettiva ritenendo che l’opportunità
per i cittadini di esprimersi sui temi del vivere civile fosse la soluzione
al calo di partecipazione democratica.
- Maturando
la tecnologia e crescendo l’attitudine culturale a suo utilizzo, cominciò
a farsi strada l’idea che essi potevano essere lo strumento per una democrazia
attiva, informata e perennemente costituente in grado di influire in maniera
inedita sulla sfera del politico.
- Nel nostro
paese se ne è parlato molto e basta rileggere Stefano Rodotà
(1996) e Franco Carlini (1996), per farsene un’idea.
- Il punto
è che solo questa prospettiva, l’e-democracy intesa come un processo
in cui le applicazioni della tecnica accompagnano e potenziano il metodo
democratico, ci consente di parlare propriamente di “democrazia elettronica”,
cercando di capire cos’è Internet e come può essere uno strumento
di democrazia, dall’altra parte ragionando su cosa si debba intendere per
democrazia.
- Iniziamo
col dire che l’e-democracy non è la scelta fra due opzioni date
e definite dall’alto: non è il referendum elettronico; non è
l’utilizzo delle macchinette digitali in sostituzione di carta e matita
nelle consultazioni elettorali: non è l’e-voting; non è neppure
la concessione di spazi di discussione ai cittadini da parte dei loro rappresentanti
istituzionali.
- Non è
neppure l’e-government, il governo elettronico che eroga servizi amministrativi
e di quando in quando chiede l’opinione dei cittadini-sudditi, pur con
strumenti nuovi, si chiamino Ideascale o in un altro modo.
La
“democrazia dei pareri”
- Blog,
siti, giornali online fatti dai lettori, forum e i social network, rappresentando
una esigenza vasta e diffusa di partecipazione, sono divenuti terreno di
coltura di una nuova sfera pubblica fatta di pareri, opinioni, commenti
e petizioni.
- Eppure
influiscono sulla cosa pubblica solo e fintanto che il legislatore se ne
sente coinvolto e controllato.
- La domanda
da porsi è quindi: “Migliorano la democrazia? E come?”
- È
stato detto che il primo movimento ad usare la rete per iniziative di massa
in grado di influenzare la politica è stato il Popolo Viola, che
organizzò la famosa manifestazione per chiedere le dimissioni di
Berlusconi il 5 novembre del 2009, ottenendo una vasta eco mediatica e
perfino l’attenzione delle istituzioni europee e della stampa internazionale.
- In realtà
la prima grande manifestazione di piazza convocata attraverso Internet
risale al 30 novembre 1999 a Seattle, data d’origine del movimento alterglobalista
(cosiddetto “noglobal”) ma, ancora prima si ricordano le mobilitazioni
di piazza convocate attraverso la rete a sostegno dell’esercito zapatista
di liberazione nazionale (EZLN), quando la protesta digitale viaggiava
non attraverso i nodi di Internet, ma quelli dei Bbs indipendenti.
- Poi sì
è molto parlato delle insurrezioni maghrebine del 2010-2011, come
paradigma di una democrazia prossima ventura per via della diffusa capacità
dei cittadini nordafricani ad usare Internet per autorappresentarsi, coordinarsi
e costruire piattaforme rivendicative.
- Che non
abbiamo assistito ad una “rivoluzione” e all’innesco di un reale processo
di cambiamento democratico lo si vede ora che assistiamo a rinnovate tensioni
in quei paesi e alla restaurazione dei vecchi poteri.
- Nel caso
della Tunisia, dell’Egitto, della Libia e di altri paesi dove gli “insorti”
hanno usato efficacemente Internet c’è stata un’importante interazione
tra mezzi di comunicazione digitale personale (telefonini, telecamere,
computer), social network come Facebook, piattaforme di microblogging come
Twitter, social media come Youtube, e i mezzi di comunicazione di massa
tradizionali come le televisioni arabe (Al Jazeera, Al Arabya).
- Queste
complesse interazioni hanno influenzato la forma delle proteste e indirizzato
la loro direzione, creato consenso nei media occidentali e favorito una
retorica deterministica del loro potenziale di cambiamento, ma non hanno
cambiato la società.
- Si è
anche parlato a lungo di democrazia elettronica coltivando l’illusione
che un uso orizzontale della rete mettesse tutti in condizione di competere
ad armi pari nell’agone elettorale.
- Ma nella
gara per la conquista del consenso elettorale vince chi ha più fondi
ed è meglio organizzato anche su Internet (Bentivegna, 2005, 2013).
- Possiamo
tuttavia sostenere che l’uso degli strumenti informatici e digitali abbia
tirato la volata a Barack Obama e prima ancora, a Howard Dean, sconosciuto
governatore del Vermont.
- Dean con
pochi soldi e uno sparuto gruppo di sostenitori, riesce a utilizzare efficacemente
la rete per raccogliere fondi, mobilitare le masse e contribuire alla stesura
del programma elettorale.
- Non viene
eletto. Obama, vince le presidenziali, ma lo fa da Governatore uscente
dell’Illinois sostenuto da media moghul, dalle aziende della Silicon Valley
e spopolando sulle reti via cavo. Tutti esperimenti che hanno modificato
la cultura della partecipazione democratica ma non hanno cambiato né
i sistemi di voto né le regole della rappresentanza.
- Ovvio:
la democrazia è un processo in cui la possibilità di esprimersi
secondo delle regole è il fondamento di un processo di dialogo e
di consultazione ma per essere tale deve arrivare ad una deliberazione.
I
media civici
- Oggi questo
processo può essere assolto dai “media civici”, piattaforme elettroniche
per l’informazione, la discussione e la deliberazione online su tutti i
temi che riguardano la gestione della Res Publica.
- La definizione
di media civici si è diffusa in Italia in seguito al lavoro della
Fondazione Ahref, una sorta di guida alla “democrazia liquida” per i lavori
parlamentari con una efficace analisi dei rischi e delle opportunità
offerte dal web alla nuova richiesta di partecipazione dal basso.
- Lo studio
offre una sintetica elencazione dei sistemi e delle piattaforme online
usate per la democrazia elettronica correttamente intesa, e cioè
per informarsi, confrontarsi e decidere: le tre principali caratteristiche
dell’esercizio di ogni democrazia che voglia definirsi tale.
- Parafrasando
la celebre affermazione di Lawrence Lessig “Code is law”, possiamo dire
che tali piattaforme possono favorire l’interesse dei cittadini a partecipare
nella cosa pubblica, e migliorare i “codici della convivenza”, un’idea
antica quanto la diffusione delle prime reti civiche californiane, dal
Berkley Community Project del 1973 in poi.
- Ma l’interesse
delle istituzioni verso i Media civici è volto a individuare nuove
modalità di potenziamento dell’attività parlamentare e non
a sostituirla.
- Le problematiche
di un approccio del genere sono diverse e riguardano l’accessibilità,
l’usabilità, la capacità e le risorse disponibili per chi
vuole impegnarsi in un processo costituente.
- Inoltre,
al netto delle preoccupazioni derivanti dal digital divide, molti hanno
esplicitato la preoccupazione di un’idea salvifica della tecnopolitica
e il rischio che con l’uso di tali strumenti si sviluppino aggregazioni
chiuse e ideologiche di minoranze che non comunicano tra loro, oppure di
gruppi di interesse in grado di influenzarne i processi.
- Tuttavia
l’importanza del framework concettuale dei media civici sta nel riconoscimento
che le forme delle democrazia e le forme della comunicazione coincidano,
e che con l’evoluzione degli strumenti di comunicazione anche le forme
della rappresentanza e della democrazia vadano aggiornate.
- E il loro
uso manifesta una consapevolezza: prima di esprimere qualsiasi posizione
è importante avere un’ampia base di conoscenza. “Conoscere per deliberare”
era il motto del presidente Einaudi.
Conclusioni
- Se facciamo
un salto indietro nella storia possiamo ricordare che Solone, il grande
riformatore greco, appellava i suoi concittadini nell’agorà e nell’ecclesia,
“il governo in pubblico”, che Pericle usava la sue doti retoriche e poetiche
per favorire la comprensione delle proprie proposte e persuadere i suoi
concittadini, e che Cesare, invece, con gli Acta Diurna, il primo quotidiano
della storia, raccontava al popolo quello che accadeva nei sancta sanctorum
del Senato.
- Oggi queste
tre modalità di esercizio della democrazia, questi tre approcci,
pur provenendo da “personaggi tirannici” e populisti, rappresentano bene
tre elementi coessenziali di quella che noi definiamo democrazia, e cioè
la pubblicità delle leggi, la chiarezza della loro esposizione,
la trasparenza della loro comunicazione.
- Tre elementi
che, fusi insieme, rimandano a un uso corretto e non propagandistico delle
tecnologie digitali piegate alla democrazia digitale.
- Nel tempo,
abbiamo imparato che differenti mezzi tecnologici potevano potenziare le
dinamiche comunicative dei paesi democratici: senza il ciclostile non avremmo
avuto il movimento per il suffragio universale, così senza la stampa,
radio, la tv e Internet non avremmo conosciuto quello che accadeva nelle
chiuse stanze dei parlamenti.
- Oggi con
Internet, non solo possiamo rivendicare il diritto a informarci e a essere
informati, ma anche il diritto a partecipare a scelte e decisioni, contandoci.
- Perché
non farlo?
- È
stato detto che la democrazia parlamentare rappresentativa è un
regime imperfetto, ma il migliore che abbiamo sperimentato.
- Oggi possiamo
legittimamente aggiungere: “Finora”.
Bibliografia
essenziale
- [1] Sara
Bentivegna, 2002, 2006, 2013
- [2] Franco
Carlini (Internet, pinocchio e il gendarme. Le prospettive della democrazia
in rete, Manifestolibri 1996)
- [3] Stefano
Rodotà (Tecnopolitica, 1996)
[Pubblicato
per la prima volta in “Un dizionario hacker”, 2014]
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