- “Fare
la spia è peccato”, ci dicevano una volta a scuola.
- Mentre,
“non fare la spia” era un monito frequente tanto in famiglia che tra amici.
- Siamo
cresciuti nella convinzione – giusta o sbagliata che sia – che rendere
pubbliche informazioni apprese in una dimensione riservata fosse almeno
eticamente scorretto.
- La storia
di Wikileaks prima e quella di Snowden dopo ci hanno, poi, d’un tratto,
persuaso che, talvolta, fare la spia può essere magari giuridicamente
vietato ma è eticamente quasi eroico.
- È
il web che ha cambiato le carte in tavola, fornendo a chiunque di noi un
kit di straordinaria facilità d’uso, per rendere di dominio pubblico
qualsiasi genere di contenuto di dominio riservato.
- Ma fare
la spia, ai tempi di Internet, è giusto o sbagliato? È eticamente
auspicabile o, invece, deprecabile? E, in ogni caso, è legale? Ma
prima e soprattutto è davvero possibile, nell’era del Web, impedire
a qualcuno di fare la spia?
- Ha senso
che i Governi del mondo intero si cimentino nella battaglia contro il c.d.
whistle-blowing o conviene, piuttosto, promuovere un processo di trasformazione
sociologica ed antropologica che ci abitui a vivere in un mondo nel quale
il segreto sia davvero l’eccezione e la trasparenza assoluta la regola?
- Sono queste
alcune delle domande che non ci si può non porre se ci si vuole
avventurare lungo il sentiero impervio che ci separa dal futuro che ci
aspetta dietro ad un angolo, lontano, ormai, pochi giorni ed una manciata
di click.
- Si tratta
di domande cui non solo è straordinariamente difficile dare una
risposta ma che danno origine ad altre domande davanti alle quali si rischia
di scoprirsi altrettanto impreparati.
- Ciascuno
di noi ha diritto a pretendere che frammenti della propria vita, da altri
legittimamente raccontati in passato perché di interesse pubblico,
ad un certo punto, smettano di “galleggiare” nel mare della Rete per consentirci
di ricominciare da capo, liberandoci di “fardelli” che riteniamo scomodo,
antipatico, talvolta, semplicemente, inopportuno portarci dietro nel presente
e nel nostro futuro?
- Abbiamo
davvero diritto a pretendere che la comunità globale alla quale,
ormai, ciascuno di noi appartiene, si dimentichi di chi siamo stati nel
passato e ci guardi solo per quello che siamo nel presente e che saremo
nel futuro?
- Ma, soprattutto,
una simile forma di amnesia collettiva è possibile nell’era di Internet?
“Dimenticare è umano ma Internet non vuole dimenticare”, ammonisce,
Victor Mayer Shomberger nel suo “Delete”,
con il quale nel 2010 ha lanciato alla comunità scientifica una
provocazione forte ed irresistibile.
- Whistle-blowing
e c.d. diritto all’oblio sono due facce – e non le sole – dello stesso
straordinario caleidoscopio di idee e principi che ha completamente riscritto
le dinamiche della circolazione delle informazioni nello spazio pubblico
telematico, ponendo agli addetti ai lavori ed ai Governi questioni e problemi
con pochi precedenti nella storia dell’uomo.
- Non c’è
dubbio, infatti, che non esiste piccola o grande comunità che sia
arrivata sin qui con una naturale abilità a convivere senza segreti
e, egualmente, non c’è dubbio, che la tendenza a dimenticare è
una naturale abilità antropologica insita in tutte le dinamiche
di relazione sociale registrate sin qui.
- Cosa ci
aspetta, in un futuro che, forse, dovremmo abituarci a considerare già
“presente” se ci ritroveremo nell’impossibilità di avere segreti
e nell’impossibilità di esigere che gli altri si ricordino troppo
e troppo a lungo su di noi?
- È
una domanda alla quale, sin qui, non hanno risposto né sociologi,
né politici, né giuristi. E sarebbe inutile provare a rigirare
i termini della questione, limitandosi ad interrogarsi sulla legittimità
o meno – sulla base delle leggi vigenti – dei fenomeni che stanno imponendo
la repentina riscrittura delle dinamiche delle quali ci stiamo occupando.
- Le regole
– quelle dettate nelle leggi degli uomini – infatti sono “codici” infinitamente
più piccoli davanti alla straordinaria rivoluzione del Codice, avviata
con la diffusione della Rete delle reti. Qualsiasi cosa le leggi di un
singolo stato stabilissero a proposito del whistle-blowing e del diritto
all’oblio, non significherebbe sostanzialmente nulla dinanzi a fenomeni
che si presentano, ormai, disancorati dall’elemento del “territorio” e,
con esso, dalla potestà legislativa di questo o quel Parlamento
e Governo e dalla giurisdizione di questo o quel giudice nazionale.
- Piuttosto
che accontentarsi di sapere se, in astratto, sia lecito o illecito – in
questo o quel Paese – “fare la spia” online o ricordare “troppo a lungo”,
sembra più opportuno interrogarsi su ciò che appare eticamente
auspicabile e, soprattutto, socialmente sostenibile.
- A differenza
della prima, infatti, questa seconda riflessione di più ampio respiro
può essere di aiuto a governanti e decisori nel tracciare le linee
per la Governance della Rete delle Reti.
- Si tratta,
naturalmente – come nel caso di ogni valutazione di carattere etico – di
semplici opinioni, inevitabilmente soggettive assai di più di quanto
non lo sarebbero quelle espresse sulla base dell’applicazione e interpretazione
delle regole del diritto.
- L’auspicio
è, tuttavia, che come ogni opinione, valgano, almeno, a stimolare
un dibattito che, per la verità, specie negli italici confini, è,
sin qui, troppo spesso apparso asfittico e privo di adeguato respiro.
- Vediamo,
dopo questa necessaria premessa, al primo dei due problemi: il whistle-blowing.
- Sul punto
è indispensabile essere franchi e mettere da parte qualsivoglia
forma di ipocrisia ideologica: nella società nella quale viviamo
non c’è più spazio per “segreti” intesi nel senso in cui
si intendevano un tempo.
- Il più
segreto dei segreti, oggi, è un’informazione nella disponibilità,
almeno di fatto, di una cerchia ristretta – ma mai ristrettissima – di
persone.
- Mentre
l’informazione nelle mani di pochi è, per quei pochi uno strumento
di straordinario potere in grado di condizionare relazioni personali, politiche
e di mercato la disponibilità della medesima informazione da parte
di tutti, “spunta” la “spada” nella mano dei pochi e pone tutti i consociati
nella stessa condizione.
- Salvo
casi davvero eccezionali, quindi, che la trasparenza sia la regola da perseguirsi,
ove necessario, anche attraverso il whistle-blowing, appare eticamente
auspicabile e socialmente sostenibile.
- Ci toccherà
– ma toccherà soprattutto a chi è sin qui stato abituato
a fare del segreto uno strumento di governo anche della cosa pubblica –
abituarci all’idea che si debba convivere nella e con la trasparenza quasi
assoluta.
- Analoga
sembra la risposta alla seconda domanda che ci si è posti: si può
davvero riconoscere a ciascuno il diritto a che la collettività
si dimentichi del suo passato o, meglio, che Internet non l’aiuti a ricordarlo?
Non credo si tratti di una scenario auspicabile né sostenibile.
- Se discutiamo
– come si dovrebbe discutere quando si parla di diritto all’oblio in senso
tecnico – di informazioni legittimamente pubblicate online perché
di interesse pubblico, nessuno – ivi incluso il soggetto cui tali informazioni
si riferiscono – può pretendere di vedersele “restituire” dalla
Rete a tutela di un malinteso diritto alla propria privacy.
- A tale
preteso diritto, infatti, si oppone – e dovrebbe avere sempre la meglio
– quello, di cui siamo tutti titolari in eguale misura, alla storia da
intendersi come diritto all’informazione sui fatti del passato. Chissà
cosa penserebbero di noi i posteri se sfogliando l’Internet Archive tra
vent’anni, osservassero che di nessuno degli uomini della nostra epoca
si scrive o parla male nello spazio pubblico telematico.
- Sarebbero
legittimati a persuadersi che quella che stiamo vivendo è stata
una stagione virtuosa nell’epopea dell’uomo.
- Naturalmente
si tratterebbe – come ben sappiamo vivendo i nostri giorni – di una percezione
straordinariamente fallace, indotta dall’inaccettabile processo di manipolazione
storica che consentiremmo se riconoscessimo al singolo il diritto di riprendersi
le tessere della sua identità legittimamente pubblicate online da
chicchessia.
- La storia
non si tocca e nessuno ha il diritto, riscrivendo la propria, di riscrivere
quella dell’epoca nella quale ha vissuto.
- È
sempre bello, quando si parla di diritto all’oblio e lo si contrappone
con il diritto alla storia, ricordarci dello straordinario prologo de Le
Storie di Erodoto: «Questa è l’esposizione delle ricerche
di Erodoto di Alicarnasso, perché gli eventi umani non svaniscano
con il tempo e le imprese grandi e meravigliose, compiute sia dai Greci
che dai barbari, non restino senza fama; in particolare, per quale causa
essi si fecero la guerra.» (Erodoto, Storie, I, 1.).
- Non solo
dunque le imprese grandi e meravigliose, ma anche gli eventi umani dei
comuni mortali, secondo Erodoto meritano di non svanire con il tempo.
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