- La riunione
dell’Internet Governance Forum dell’Onu dell’anno scorso, ad Atene, ha
rappresentato una svolta per il modo in cui possono e debbono essere affrontati
i problemi delle libertà e dei diritti in Rete.
- Che cosa è
accaduto dopo Atene? Che cosa dobbiamo attenderci dalla prossima sessione
di Rio de Janeiro dell’Internet Governance Forum?
- Le novità
dell’ultima fase possono essere sintetizzate nel modo seguente: nell’agenda
Internet il tema delle libertà e dei diritti ha assunto una visibilità
sempre più netta e si è diffusa la consapevolezza della necessità
di regole comuni, sintetizzate nella formula di un Internet Bill of Rights;
questo ha avuto come conseguenza il progressivo indebolirsi delle tesi
di coloro i quali si oppongono ad ogni regolamentazione di Internet in
nome di una sua intima e irriducibile natura libertaria; è nato
un nuovo soggetto diffuso e plurale, le Dynamis Coalitions spontaneamente
costituite da singoli e gruppi, che esprimono una politica per issues e
possono dare continuità e concretezza al processo dell’Internet
Bill of Rights; si è rafforzata la consapevolezza che siamo appunto
di fronte ad un processo, che deve essere al tempo stesso multistakeholder
e multilevel; si è rafforzata la consapevolezza che siamo di fronte
ad una redistribuzione di poteri, e non solo ad una riorganizzazione dei
poteri esistenti; questa consapevolezza ha consentito di avviare una prima
individuazione di quali dovrebbero essere i contenuti di un Internet Bill
of Rights; si è così passati da una dimensione prevalentemente
tecnica ad una dichiaratamente politica.
- Questo sommario
bilancio delle dinamiche dell’ultimo anno non significa che siamo di fronte
a risultati consolidati. Vi sono ancora più domande che risposte,
è indispensabile valutare criticamente le tendenze in atto, individuare
le direzioni verso le quali appare più urgente e più opportuno
muovere. Svolgendo questa analisi, è indispensabile tener sempre
presente la complessità dell’agire in Rete, testimoniato da ultimo
dalla prepotente emersione della blogsfera.
- Si può
cominciare considerando che cosa voglia dire attribuire rilevanza ad una
impostazione che veda la partecipazione di una molteplicità di soggetti
rappresentativi di una varietà di culture, interessi, aree geografiche
(multistakeholderism), dando così evidenza alle diversità
che compaiono e si confrontano in Rete. Conviene partire dalla constatazione
di un notevole attivismo del mondo imprenditoriale, che già si era
manifestato ad Atene con la richiesta di Microsoft di una Carta dell’identità
digitale e con altre interessanti posizioni della stessa società.
- È poi
venuta una iniziativa congiunta di Microsoft, Google, Yahoo!, Vodafone,
che hanno annunciato per la fine dell’anno la pubblicazione di una Carta
per tutelare la libertà di espressione su Internet. In luglio Microsoft
ha presentato i suoi Privacy Principles. E più recentemente Google,
dopo aver respinto come inutilmente censoria una richiesta avanzata in
sede di Unione europea di bloccare la ricerca in Rete con parole chiave
“pericolose” (bomba, terrorismo, genocidio), ha proposto di adottare uno
standard globale per la privacy, affidato a un “Global Privacy Counsel”
presso l’Onu, che dovrebbe garantirne il rispetto.
- L’insieme di
queste iniziative è diversamente significativo. Sottolinea l’esistenza
di crescenti violazioni in Rete di diritti fondamentali, in particolare
di quelli riguardanti la libertà di manifestazione del pensiero
e la tutela dei dati personali, e quindi mette in evidenza la necessità
di regole volte ad evitare questo rischio. Solleva la questione se sia
possibile lasciare la tutela di diritti fondamentali soltanto all’iniziativa
di soggetti privati, che tendenzialmente offriranno solo le garanzie compatibili
con i loro interessi. All’attenzione dei privati, quindi, deve corrispondere
una attenzione adeguata da parte delle istituzioni pubbliche, che non sono
uno tra i tanti stakeholders possibili, ma un soggetto essenziale tutte
le volte che sono in gioco diritti e libertà delle persone.
- L’Onu si è
mosso in questa direzione con le due edizioni del World Summit on Information
Society e con l’Internet Governance Forum. Ma ora è indispensabile
fare un passo ulteriore. All’invito del settore privato per uno specifico
ruolo attivo dell’Onu si aggiunge ora autorevolmente quello del Ministro
italiano per la Funzione pubblica, sì che l’Onu deve con maggiore
convinzione agire come protagonista, senza che ciò escluda la presenza
di “legislatori regionali” e l’impulso di autorità nazionali. Anche
per i soggetti pubblici si pone un problema di pluralità di stakeholders.
- Riflettendo
sull’esperienza delle dynamic coalitions, si è posto l’ulteriore
questione se, per il modo in cui si sono formate e hanno agito, si possa
considerare che esse rappresentano interamente gli altri soggetti operanti
in Rete, esaurendo così, accanto alle imprese ed alle istituzioni,
la diversità degli stakeholders nella prospettiva dell’Internet
Bill of Rights. L’analisi delle interazioni online fa emergere una realtà
più complessa, legata appunto alla natura di “processo” assunta
dal tema dell’Internet Bill of Rights, con la necessità conseguente
di considerarlo come processo aperto all’arricchimento derivante dal contributo
di soggetti che via via intervengono in esso.
- Se si assume
il multistakeholderism, la presenza attiva e incisiva di una molteplicità
di soggetti, come un modello da seguire per le decisioni riguardanti la
garanzia in Rete di libertà e diritti, diventa centrale la questione
della attitudine “inclusiva” di questo modello, perché ad esso possa
essere riconosciuta rappresentatività e, dunque, legittimazione
democratica. Due, in particolare, sono le dimensioni da prendere in considerazione:
quella del coinvolgimento delle “istituzioni del sapere”, le università
in primo luogo; e quella di un mondo che, pure in un universo globale come
Internet, si colloca oltre i confini segnato dalla tradizionale influenza
della cultura occidentale.
- Nell’immediato
futuro diventa essenziale promuovere questa partecipazione più allargata.
Insistere sull’Internet Bill of Rights come processo implica altre scelte,
che ci allontanano dalle procedure storicamente seguite per la produzione
di questo tipo di documenti. Costituzioni e Bill of Rights sono sempre
state il frutto di iniziative dall’alto, si trattasse di costituzioni “octroyées”,
concesse dal sovrano, o approvate da assemblee costituenti. La natura stessa
di Internet si oppone all’adozione di questo schema. Internet è
il luogo della discussione diffusa, delle iniziative che vogliono e possono
coinvolgere un numero larghissimo di persone, dell’elaborazione comune.
- Diventa evidente,
allora, che ad un Internet Bill of Rights non si può arrivare neppure
attraverso le procedure tradizionali delle convenzioni internazionali,
attraverso forme di cooperazione tra i governi che producono un testo da
sottoporre poi, ad esempio, all’approvazione all’Assemblea generale delle
Nazioni Unite. Questo può essere il punto finale di un processo
diverso, che coinvolga una molteplicità di soggetti e si svolga
si livelli diversi. Impostazione multistakeholder e impostazione multilevel
convergono. I livelli da considerare, e che possono intrecciarsi, sono
quelli delle fonti delle regole, delle materie trattate, delle aree del
mondo considerate.
- Riferendosi
alla definizione di Internet come “rete delle reti”, si è osservato
che un primo passo può essere costituito da una ricognizione che
porti alla costruzione di un “framework dei framework di principi già
esistenti”. Da qui può nascere un mosaico composto da diversi elementi
normativi – nazionali e sopranazionali, d’origine pubblica o privata -
che progressivamente possono comporsi in un comune contesto istituzionale.
Questa prospettiva merita d’essere realisticamente considerata, ma esige
anche una adeguata cautela. La società dell’informazione si presenta
oggi anche come un campo di battaglia, dove continuamente si confrontano
hard law e soft law, etica e diritto.
- Alle difficoltà
di ricorrere ai tradizionali strumenti della legge nazionale e delle convenzioni
internazionali si aggiungono valutazioni di principio, secondo le quali
l’autoregolamentazione sarebbe comunque preferibile a regole imposte dall’esterno,
che avrebbero un carattere autoritario o almeno paternalistico. Il soft
law sarebbe lo strumento più adeguato a regolare una società
in perenne cambiamento, mobile, diffusa, per certi aspetti persino inafferrabile,
quale è appunto quella dell’informazione. Partendo da queste considerazioni,
si è progressivamente spostata l’attenzione verso strumenti variamente
definiti codes of conduct, codes of ethics, codes of good practices, netiquette,
blotiquette. Ma questi strumenti presentano anche una forte ambiguità,
poiché in alcuni casi finiscono con l’essere soltanto delle proclamazioni,
senza effetti concreti, utilizzati per proiettare all’esterno una immagine
rassicurante dell’organizzazione alla quale si riferiscono.
- Una corretta
utilizzazione di questi strumenti, allora, esige sempre un forte aggancio
ad un quadro di principi comuni, quali sono quelli che possono già
ricavarsi da diversi documenti internazioni, dalla Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo dell’Onu alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea. E richiede una progressiva messa a punto di strumenti che possano
garantire il rispetto di quei principi, quale appunto può essere
un garante istituito presso l’Onu. In nessun caso, tuttavia, l’attenzione
sugli strumenti di soft law può tradursi nell’attribuzione a centrali
private della produzione delle regole, per cancellare o respingere sullo
sfondo la messa a punto di strumenti più incisivi. Proprio la molteplicità
delle fonti regolatrici – dichiarazioni internazionali, norme sovranazionale,
regole nazionali, codici di condotta, incentivi a comportamenti - esige
una continua ricerca di fondamenti comuni.
- Si specifica
così la considerazione dell’Internet Bill of Rights come processo.
Per quanto riguarda le materie da considerare, diversamente mature per
interventi più incisivi, è opportuno ricordare la situazione
della tutela della privacy, già basata su regole comuni nei 27 paesi
dell’Unione europea, ispirata a logiche analoghe in Canada e nell’area
Asia-Pacifico, e per la quale l’America latina sta cercando di predisporre
una comune legge quadro. Qui sembra opportuno cominciare a muoversi perché
si arrivi ad una convenzione internazionale, auspicata fin dal 2000, con
la Dichiarazione di Venezia, dalle Autorità nazionali di garanzia,
che dovrebbero essere coinvolte nel processo in corso. Intese “regionali”
appaiono possibili, e auspicabili, a cominciare da quelle che possono vedere
la presenza dell’Unione europea, che costituisce oggi la più ampia
area di diritti esistente al mondo.
- Un rapporto
con il Parlamento, e in genere con le istituzioni europee, è sicuramente
opportuno, anche perché vengano stimolati l’avvio o la ripresa di
azioni che possono contribuire alla garanzia dei diritti in Rete, nella
logica della tutela multilevel, riprendendo anche iniziative che in passato,
per esempio in materia di spamming, furono collocate nel quadro di un “transatlantic
dialogue” con gli Stati Uniti. La discussione sull’Internet Bill of Rights
può giovarsi di questa molteplicità di dinamiche, che al
tempo stesso consentono di avviare una definizione di quelli che dovrebbero
essere i suoi contenuti.
- Se si esaminano
le molte proposte in circolazione, si colgono immediatamente impostazioni
assai diverse: mirate ad individuare alcuni grandi principi o, al contrario,
articolate in una serie di prescrizioni analitiche. La prima impostazione
appare preferibile, non solo perché rispecchia la tradizionale natura
delle dichiarazioni dei diritti. Le norme di principio hanno maggiore capacità
di incorporare la dimensione del futuro, dunque di disciplinare situazioni
in perenne mutamento, fornendo il quadro di riferimento ad una molteplicità
di regole, anche variabili, provenienti da fonti diverse. L’impostazione
multilevel non significa accettazione di un sistema normativo frammentato.
Serve un quadro di riferimento generale. Non ci si può limitare
a far nascere “island of trust”, favorendo lo squilibrio tra materie regolate
e settori senza regole.
- Affrontando
specificamente la questione dei contenuti, l’attribuzione di specifici
diritti ha una precondizione: il riconoscimento pieno del diritto di accesso,
che implica non solo la possibilità di connessione; richiede una
accumulazione di sapere critico, dunque di istruzione adeguata; e soprattutto
esige una crescente considerazione dei beni disponibili in Rete come beni
comuni, reagendo alla creazione artificiale di scarsità di beni
altrimenti disponibili in quantità tendenzialmente illimitata.
- Rischiamo, altrimenti,
che ci venga consegnata una chiave che apre soltanto una stanza vuota,
priva di contenuti significativi liberamente utilizzabili. O che venga
esaltato il potere dei mediatori che, come i grandi motori di ricerca,
esercitano un enorme potere sociale svincolato da ogni responsabilità
La posta in gioco non è piccola. Il raccordo accesso-beni comuni
si presenta come un antidoto alla privatizzazione del mondo, offre possibilità
inedite di percorrerlo liberamente, con equilibri nuovi tra diritti individuali
e godimento collettivo, che possono risultare solo da standard aperti,
da condivisione di codici, da un ripensamento radicale di brevetto e copyright.
Ma il diritto di sapere può essere effettivamente esercitato solo
se viene garantita la neutralità della rete, che non è affatto
una condizione tecnica, ma una componente dell’eguaglianza.
- La costruzione
di un Internet Bill of Rights assume così le caratteristiche di
un documento costituzionale; i diritti in esso riconosciuti si presentano
come componenti della nuova cittadinanza planetaria. Siamo di fronte ad
un nuovo intreccio tra la “costituzionalizzazione” della persona, ben visibile
ad esempio nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e
la dimensione della Rete, che non solo propone diritti nuovi, ma impone
una rilettura degli stessi diritti tradizionali.
- Non è
un caso che oggi si distingua tra tutela della privacy, come garanzia di
una sfera privata chiusa, e diritto alla protezione dei dati, come autonomo
diritto fondamentale che consente la proiezione nel mondo e mette tutti
in condizione di sviluppare liberamente la propria personalità.
Così, anche quando si continua ad usare il termine privacy, in realtà
si individuano una forma essenziale della libertà dei contemporanei
ed uno strumento indispensabile per resistere ad una interpretazione della
società della conoscenza che attribuisce a soggetti pubblici e privati
il potere di conoscere ogni dato riguardante la vita delle persone, trasformando
le società democratiche in società del controllo, della sorveglianza,
della classificazione e della selezione sociale.
- Solo così
si può uscire dalla schizofrenia politica e istituzionale di questo
tempo, che riconosce formalmente diritti fondamentali e, al tempo stesso,
li nega in nome di una sicurezza dilatata fino a divenire “fabbrica della
paura” e di una efficienza economica insofferente d’ogni regola. Questo
è uno dei pilastri dell’Internet Bill of Rights, che non è
un nuovo catalogo di diritti, ma l’individuazione di un modello sociale
e politico. Su questo si fonda la libertà di espressione come diritto
di “cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee”: questa è
la formula adottata dall’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo che, proiettata nella dimensione della Rete, sprigiona una potenza
finora sconosciuta.
- E assume più
netta fisionomia il diritto alla identità che, considerato nel quadro
della libera costruzione della personalità, comprende anche il diritto
all’anonimato ed alle identità digitali. In questa prospettiva,
la stessa tutela dei dati personali non è affidata alla logica proprietaria
(“il dato è mio e me lo gestisco io”), ma ad una rinnovata visione
della persona e dei suoi diritti. Nella Magna Charta del 1215 l’habeas
corpus consisteva nella promessa del re ai suoi cavalieri che non sarebbero
stati imprigionati illegalmente o torturati, “nor will go upon him nor
send upon him”. Questa promessa deve essere rinnovata dall’Internet Bill
of Rights e trasferita dal corpo fisico al corpo elettronico, alla persona
che vive nel mondo globale e le cui informazioni costituiscono una parte
essenziale della società della conoscenza.
- Partendo da
questa reinterpretazione dei riferimenti fondamentali - accesso alla conoscenza,
immunità dalle interferenze, garanzia della libera costruzione della
personalità, rispetto della diversità, libertà di
comunicazione, liberazione da vincoli proprietari, costruzione di beni
comuni – è possibile procedere ad inventari più analitici
di situazioni meritevoli di tutela. Tenendo presente, però, che
questa nuova dimensione della cittadinanza non guarda ad individui dispersi,
in attesa passiva che qualcuno attribuisca loro qualche diritto. Siamo
di fronte ad un “popolo mondo”, protagonista di una vicenda inedita, che
produce esso stesso l’individuazione e le forme di tutela dei diritti che
lo riguardano, in una nuova alleanza con una molteplicità di soggetti,
in primo luogo con istituzioni pubbliche, nazionali e sopranazionali, di
cui contribuisce a mutare le logiche e le modalità d’azione.
- Arriviamo così
a Rio de Janeiro, alla nuova sessione dell’Internet Governance Forum. Se
le considerazioni fatte finora hanno un senso, la conseguenza è
che questa deve essere l’ultima sessione nella quale il tema dei diritti
della Rete e nella Rete rimane confinata in un workshop specialistico.
- A Rio sarà
possibile un incontro ravvicinato tra le dynamic coalitions, per mettere
a punto modalità di riconoscimento e di azione comune. Sarà
possibile definire con maggior precisione i contenuti dell’Internet Bill
of Rights nella prospettiva dell’elaborazione di una bozza da discutere
in Rete. Sarà possibile fissare priorità, individuando le
materie, le aree, le tecniche di regolazione che si prestano ad iniziative
più immediate.
- Ma il vero risultato
politico sarà quello di stabilire che, dal 2008, il tema dei diritti
deve essere affrontato in una delle grandi sessioni pubbliche dell’Internet
Governance Forum. Sarebbe uno di quegli atti simbolici dai quali può
trovare avvio una nuova realtà. Grazie a tutti e arrivederci a Rio.
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